"Rediscovering Helga Philipp. Op Art in Austria"
Exhibition dates: 2/03 - 28/04/2023
ARTWORKS
Objekt O3 (print), 1963, oggetto cinetico, interferenza ottica, cornice di legno nera / kinetic object, optical interference, black wooden frame, 40x40x6 cm
Objekt O9a (print), 1963, oggetto cinetico, interferenza ottica, cornice di legno nera / kinetic object, optical interference, black wooden frame, 40x40x6 cm
Grafik G164, 1996, grafite su cartoncino nero / graphite on black cardboard, 2 elementi / elements, 60x50 cm each element
Objekt O3 (print), 1963, oggetto cinetico, interferenza ottica, cornice di legno nera / kinetic object, optical interference, black wooden frame, 40x40x6 cm
INSTALLATION VIEWS
"Rediscovering Helga Philipp. Op Art in Austria" 10 A.M. ART, Milano
"Rediscovering Helga Philipp. Op Art in Austria" 10 A.M. ART, Milano
"Rediscovering Helga Philipp. Op Art in Austria" 10 A.M. ART, Milano
"Rediscovering Helga Philipp. Op Art in Austria" 10 A.M. ART, Milano
Testo italiano / English text -scroll- ⇩
Dal 2 marzo al 28 aprile 2023 la Galleria 10 A.M. ART di Milano, nella sua sede di corso San Gottardo 5, organizza, a cura di Paolo Bolpagni, una mostra retrospettiva dedicata alla grande artista viennese Helga Philipp (1939-2002), una delle protagoniste della Op Art e delle neoavanguardie astratto-concrete in Europa, autrice di una produzione di altissima qualità e intelligenza. Per l’Italia si tratta di un’autentica scoperta, doverosa e forse sorprendente. Così scrive nel proprio testo di presentazione il curatore:
Il ruolo di questa straordinaria pittrice è stato fondamentale nella scena artistica austriaca a cominciare dagli anni Sessanta, ma si è esteso anche ad altri Paesi europei, rimanendo però pressoché ignoto, nella sua importanza, al di qua delle Alpi. È come se nell’àmbito della “Nuova Tendenza”, che pure, irradiandosi dalla Galerija Suvremene Umjetnosti di Zagabria, accomunò artisti dell’intero continente, raccogliendo sodalizi e collettivi di “cinetisti” attivi in molti Paesi, si fosse determinata una sorta di linea di demarcazione: da una parte gli italiani e i francesi (Gruppo N, Gruppo T, Gruppo 63, GRAV etc.), spesso in relazione reciproca; dall’altra le numerose esperienze del mondo austro-tedesco, alcune delle quali videro Helga Philipp come esponente o protagonista. Certo contò la barriera linguistica, ma forse, in maniera più sottile, si trattava di una differente impostazione di fondo, determinata anche da radici storiche diverse: in Italia il secondo Futurismo e l’astrattismo milanese e comasco degli anni Trenta, in Francia Abstraction-Création e i concretisti; mentre in Germania agiva l’eredità del Bauhaus e successivamente della Hochschule für Gestaltung di Ulm, e in Austria non si poteva ignorare il grande insegnamento primonovecentesco dei linearismi geometrizzanti della Wiener Werkstätte, e poi di un personaggio-chiave come Franz Cižek. Helga Philipp discende dunque da illustri precedenti e, se taluni esiti della sua arte non appaiono così lontani – giusto per citare un paio di esempi – da quelli di Alberto Biasi o di Dadamaino, peraltro risalenti agli stessi anni, vi si coglie uno spirito per così dire più “costruttivista”, con un’attenzione “applicativa” tutta viennese (non si dimentichi la formazione giovanile all’Akademie für angewandte Kunst). Naturalmente, poi, è in lei essenziale l’interesse per l’analisi dei meccanismi percettivi, quindi per la stimolazione di effetti di distorsione, reversibilità, modularità, interferenza, sperimentati sia in dipinti, sia in oggetti cinetici, sia in opere serigrafiche, fino all’approdo alla classica tecnica del disegno a grafite su carta o cartoncino, impiegata però al fine di ottenere sempre scansioni spaziali e severi giochi di “negativi-positivi”, che arrivano ad annullare gli assunti della sintassi compositiva tradizionale disattivandone uno degli elementi essenziali, ossia la distinzione tra figura e sfondo. Qui Helga Philipp lavora sull’ambiguità tra pieno e vuoto, con forme geometriche incastrate le une nelle altre, portandoci a riflettere sulla relatività della percezione: è l’osservatore che, prendendo atto dell’instabilità ottica di queste opere, ne stabilisce a proprio piacimento la modalità di lettura e persino la direzionalità. Nel 1963 l’artista proclamava, con secchezza apodittica, senza utilizzo di lettere maiuscole: «esistenza dell’immagine attraverso lo spettatore. esistenza dello spettatore attraverso l’immagine. movimento nello spazio nell’immagine. movimento nello spazio e dello spettatore attraverso l’immagine. movimento dell’immagine attraverso lo spettatore e lo spazio. cambiamento dell’immagine attraverso il cambiamento della luce. cambiamento dell’immagine attraverso il cambiamento dello spettatore». Quanto scritto allora rimase valido per l’intero prosieguo del percorso di Helga Philipp, che è stato limpido e consequenziale: non mutarono i presupposti, ma furono i mezzi a conoscere progressive evoluzioni, ferme restando l’attitudine analitica e la curiosità sperimentale, dagli Objekt degli anni Sessanta alle Grafik e Druckgrafik incentrate sulla linea curva e sul modulo circolare, fino ai grandi oli su tela – monocromi o calibrati sui non-colori e sui toni di grigio – dell’ultima fase della sua carriera, dove, ancora una volta, il titolo dell’opera (spesso Malerei, pittura) coincide significativamente con la tecnica.
In questo ritorno al grado zero del lessico visivo Helga Philipp ha esplorato le modalità di percezione oculare dell’uomo, i sistemi di funzionamento del nostro cervello, ma senza trasformare se stessa in una pura ricercatrice, proiettata in speculazioni avulse dalla realtà; ma conservando anzi un’amorevole cura per le diverse materie, derivatale dallo studio delle arti applicate, e lo sguardo complice della didatta, ché l’insegnamento non fu per lei un’attività parallela e collaterale, ma una maniera di essere e d’intendere il proprio compito di operatrice della visualità.
Portare all’attenzione del pubblico italiano un’ampia selezione di lavori – dagli anni Sessanta ai Novanta – di Helga Philipp, che fu instancabile anche nel promuovere scambi, rapporti e dialoghi, è un’opportunità per far rivivere una stagione estremamente vivace, e conoscere un’indubitabile protagonista della scena europea della seconda metà del Novecento.
From 2 March to 28 April 2023, the 10 A.M. ART gallery at Corso San Gottardo 5 in Milan, is staging a retrospective exhibition curated by Paolo Bolpagni dedicated to great Viennese artist Helga Philipp (1939-2002). A protagonist of Op Art and the abstract-concrete neo-avant-gardes in Europe, Philipp created output of the highest quality and intelligence. This exhibition is a veritable, dutiful and perhaps even surprising discovery for Italy. According to the curator’s introductory text:
This extraordinary painter played a pivotal role on the Austrian art scene from the 1960s, one that extended to other European countries, even if she remained virtually unknown on the Italian side of the Alps. It is as if some kind of dividing line were drawn across the “New Tendency” sphere, radiating outwards from the Galerija Suvremene Umjetnosti in Zagreb, uniting artists from the entire continent, gathering together ties and collectives of “kineticists” active in many countries: on one hand, Italians and French (Gruppo N, Gruppo T, Gruppo 63, GRAV etc.), often interrelating; on the other, numerous experiences in the Austro-German world, in some of which Helga Philipp was an exponent or protagonist. Certainly, the language barrier had an impact, but perhaps more subtly, what differed was the underlying approach, determined in part by differing historical roots. Italy experienced a second wave of Futurism and Milan/Como Abstractionism in the 1930s; France, Abstraction-Création and the concretists, whereas in Germany the legacy of the Bauhaus and later the Hochschule für Gestaltung in Ulm had an impact, as in Austria did the great early twentieth-century teachings of geometrical linearism at the Wiener Werkstätte, followed by key figures like Franz Cižek. Helga Philipp thus continued from illustrious precedents. If certain outcomes of her art do not appear so distant – to cite a couple of examples – from Alberto Biasi’s or Dadamaino’s, moreover dating back to the same years, one may perceive in her work a more “Constructivist” spirit so to speak, with a particularly Viennese “applicative” focus (not forgetting her youthful education at the Akademie für angewandte Kunst). Naturally, she had an essential interest in analyzing perceptual mechanisms, approached by stimulating distortions, reversibility, modularity and interference-related effects. She experimented in paintings, kinetic objects, and silkscreen works, progressing to the classic technique of graphite drawings on paper or cardboard deployed for spatial cadencing and severe “negative-positive” effect, going so far as to cancel out the assumptions of traditional compositional syntax by deactivating one of its essential elements: the distinction between figure and background. Around this time, Helga Philipp worked on the ambiguity between fullness and emptiness, using geometric shapes embedded in one another to prompt reflections on the relativity of perception. It was the observer who, noting the works’ optical instability, to the extent they desired, established a mode of interpretation – even of directionality – with them. In 1963, with apodictic dryness and eschewing capital letters, the artist proclaimed “existence of the image through the viewer. existence of the viewer through the image. movement in space in the image. movement in space and of the viewer through the image. movement of the image through the viewer and space. change of the image through the change of light. change of the image through the change of the viewer.” Those words remained valid throughout Helga Philipp’s entire limpid, consequential artistic career. Her presuppositions never changed; what did change was the medium, progressively evolving without prejudice to her analytical aptitude and experimental curiosity, from her 1960s Objekt to her Grafik and Druckgrafik centred on curved lines and circular modules, right through to her large oils on canvas – monochromes, or calibrated on non-colours and grey tones – and on into the final phase of her career when, once again, the title of the work (often Malerei, painting) significantly coincided with the technique.
Without ever being a pure researcher, without projecting herself into speculations divorced from reality, in her return to degree zero of the visual lexicon, Helga Philipp explored mankind’s modes of ocular perception and brain functioning systems. All the while, she retained her loving care for the various materials she used, derived from studying the applied arts, and the complicit gaze of the teacher; teaching was, for her, not a parallel and collateral activity, it was a way of being and understanding her task as a visuality worker.
This wide selection of Helga Philipp’s works – from the 1960s to the 1990s – offers an Italian audience the chance to discover a woman who tirelessly promoted exchange, relationships and dialogue. Bringing back to life an extremely lively period, the exhibition enables us to become acquainted with an undoubted protagonist on the European scene during the latter half of the 20th century.
Opening:
2 March 2023, 5.00 pm