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"Struttura, materia e colore. Franco Giuli con Piero Dorazio 1969-1975"

Exhibition dates: 26/09 - 29/11/2024

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Testo italiano / English text -scroll- 

Dal 20 febbraio al 28 marzo 2025 la galleria 10 A.M. ART, in collaborazione con Lorenzelli Arte, organizza nella propria sede in corso San Gottardo, 5 a Milano, a cura di Paolo Bolpagni, una mostra retrospettiva dedicata all’artista marchigiano Franco Giuli (1934-2018), uno dei protagonisti da riscoprire delle ricerche aniconiche, neo-costruttiviste e ottico-dinamiche in Italia, autore di una produzione varia ma compatta, di grande qualità e valore. La scelta è di concentrarsi su una fase specifica del suo lavoro, tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta, ponendone a confronto le opere con due oli su tela di Piero Dorazio, cui Giuli era allora legato da una profonda amicizia e da stima reciproca, oltre che da alcune consonanze. Così scrive nel proprio testo di presentazione il curatore:

 

La figura di Franco Giuli, instancabile e coerente ricercatore della visualità, è di quelle che rischiano di non essere abbastanza considerate, per una certa ritrosia del personaggio, per il suo rifuggire da ogni clamore scandalistico, per la serietà composta del lavoro artistico, condotto sempre con rigore e inventiva, unendo esprit de géométrie e esprit de finesse, per dirla con la terminologia di Blaise Pascal. Al centro dell’attenzione, per lui, ci sono stati gli elementi essenziali del lessico pittorico: le strutture formali, la materia e il colore. Di qui la scelta del titolo della retrospettiva ora dedicatagli, a poco più di sei anni dalla sua scomparsa.

Scorrere l’elenco degli studiosi e dei critici che si sono occupati della produzione di Giuli è impressionante: giusto per citarne alcuni, Giulio Carlo Argan, Giuseppe Marchiori, Luciano Caramel, Enrico Crispolti, Rossana Bossaglia, Umbro Apollonio, Giorgio Di Genova, Lara-Vinca Masini, Filiberto Menna, Giovanni Maria Accame, Giorgio Cortenova, Franco Solmi, Cesare Vivaldi, Nello Ponente, Italo Tomassoni, Carlo Melloni, Armando Ginesi e, per venire ai viventi, Luigi Lambertini, Bruno Corà, Giancarlo Politi, Lorenzo Canova. Non si può dire, insomma, che Giuli sia stato trascurato dalla critica, che ha sempre ravvisato in lui un validissimo esponente dell’astrazione geometrica italiana, dagli anni Sessanta in poi. Evidente è la matrice costruttivista e bauhausiana (soprattutto del Kandinskij di Punto e linea sulla superficie) della sua arte, che s’iscrisse nella scia internazionale della “Nuova Tendenza”, ma evitando l’adesione ai movimenti, alle compagini e ai sodalizi all’epoca tanto in voga (in Italia i gruppi N a Padova, T a Milano e 63 a Roma, lo Zero in Germania, l’Equipo 57 in Spagna, in Francia il GRAV, nei Paesi Bassi il Nul…). Giuli ha preferito porre un distanziamento fra sé e gli atteggiamenti per così dire militanti di quella stagione, rivendicando implicitamente una libertà d’azione e di ricerca che fa di lui un indagatore appartato dei meccanismi della percezione e delle modalità attraverso cui le figure geometriche si definiscono sul supporto dell’opera, creando effetti di tridimensionalità, di movimento, di apparente inganno ottico. Argan, nel 1977, lo collocò tra i protagonisti di «un’analisi ordinata e metodica sulla superficie del quadro», sulla «relazione tra forme solide e le relative ombre», sui «modi ed i limiti del progetto in pittura».

Nel corso dei decenni Giuli ha sperimentato tecniche e materiali differenti, dal cartone al legno, dalla juta al collage, approdando a esiti che talora proiettano l’opera in direzione dell’osservatore, con sollevamenti, increspature, incastri, aggetti, rilievi. Nella mostra alla 10 A.M. ART, però, ci si è voluti soffermare su un momento preciso della sua attività, compreso fra il 1969 e il 1975, con pochi e lievi “sconfinamenti” cronologici. È una fase in cui Giuli pratica la pittura ad acrilico su tela, realizzando lavori di un virtuosismo trascendentale, dai colori saturi e squillanti, di formato prevalentemente quadrato (quello che più di tutti scongiura le aggregazioni visive e i magari inconsapevoli rimandi iconici, rappresentativi), che talvolta evocano il ricordo di un macchinismo d’ascendenza secondo-futurista, alla Ivo Pannaggi. D’altro canto la storica dell’arte Laura Turco Liveri rammentò non a sproposito, in un testo pubblicato nel catalogo della grande retrospettiva che si tenne nel 2000 alla Mole Vanvitelliana di Ancona, che la zona dove Giuli era nato, nei pressi di Fabriano, era agricola, e che «il ragazzo, a contatto con trattori e trebbiatrici», dovette osservarne gli ingranaggi di funzionamento, restandone affascinato, e definendo in sé un immaginario peculiare, di cui è giusto tener conto, pur senza enfatizzare troppo tale background.

Di fatto, negli anni Settanta il pittore riflette sul concetto di “struttura”, sugli elementi costitutivi della creazione formale, e sull’idea di un’illimitata generatività di essi, in una continua proiezione verso lo sviluppo delle facoltà combinatorie delle componenti visive e della modalità di costruzione dell’opera. Al tempo Giuli era molto legato a Piero Dorazio, che nel 1992, in occasione di una mostra dell’amico alla Galleria Zammarchi di Milano, gli dedicherà un testo illuminante, ponendo in risalto la «consistenza» della sua produzione nell’àmbito dell’arte non-oggettiva, e la costanza, immune da ogni tentazione di ossequio alle oscillazioni del gusto, di una ricerca linguistica improntata a un lessico geometrico, fondata sui parametri del modernismo: un’esplorazione, per usarne le parole esatte, delle «probabilità di individuare spazi e ritmi plastici per mezzo di elementi semplici ma dotati di una formidabile carica cromatica». Da parte dell’indefesso sperimentatore delle interferenze e delle “tessiture” di colori, delle sapienti e raffinate impaginazioni di segni-luce, era un’attestazione di stima e di consonanza espressiva e metodologica, che ci induce a riflettere sulle molte interrelazioni di una stagione della pittura italiana che, al di là delle categorizzazioni, talvolta un po’ castranti, appare ancora meritevole di analisi attente ed esenti da precognizioni e schematismi.

FC: I'd like to begin this conversation by discussing a moment of crucial importance in your career: the Mondrian exhibition curated by Palma Bucarelli in 1956 at the Galleria Nazionale d’Arte Moderna in Rome. How did it influence your artistic practice?

GP: Before Mondrian, my painting was figurative and academic, but afterwards it evolved towards an informal model, partly based on signs, and partly on texture, with an explicit reference to ancient rock-paintings: a sort of 20th-century take on primitive painting. I was astounded when I saw Mondrian's works. Here we had a great classical painter who had abandoned naturalistic views and figuration to devote himself to pure geometry, to what would become the ABC of my own practice.

FC: So a painter must be able to jettison his certainties to evolve?

GP: Exactly. I was fascinated by the evolution of Mondrian's research, especially by the way in which he would reduce a tree to the barest essentials: increasingly simplified tree trunks and branches. It was a search for the essence, for abstraction. The exhibition triggered fierce arguments between friends, but in the end I decided to abandon figurative art, and to adopt a more linear approach, drawing my inspiration from Mondrian himself. This I did with my wife, Lucia Di Luciano, who is also a painter. An extraordinary one. We were young, it was the 60s, and together we founded Gruppo 63.

FC: How did your work change after the Mondrian show?

GP: I began to simplify forms, eliminating the superfluous from my figures. Over time, I developed a characteristic, abstract sign, which was not connected with the real world. Following Mondrian, my work became a combination of geometric elements, with the aim of expressing purely mental concepts.

FC: You have said that in the 60s your work was linked to mathematical calculation. What is the process underlying your paintings?

GP: It is a mental process. I was inspired by the logic and mathematics of Whitehead and Russell, using combinations and progressions to create complex structures. Each sign and colour element had a precise function, organized through rigorous calculation. The goal was to create a dynamism in the geometric figures of the work, a rhythm.

FC: Although your painting is abstract, there is actually a link to reality. You have said to me that men became numbers thanks to the computer, that we are all numbers subject to calculations, and that your art anticipates this idea, applying it to the surface of a square... Does this make your work a metaphor for society?

GP: It may appear to be a metaphor, but the goal is purely an aesthetic one. My work is not political or social. It’s abstract- geometric. There is nothing ambiguous about it.

FC: How would you explain your work to a child?

GP: I would simplify it, as follows: take three numbers, each corresponding to a geometric form. By changing their position, ever-new and surprising combinations are created. It's a simple game, but an effective one.

FC: What is art, for you?

GP: For me, art is first and foremost beauty, that is beyond question. This beauty has to do with the chromatic variation of the elements that make up the picture. By changing their position, the chromatic elements offer differing and dynamic visions of the same "pixel" – let’s call it that – which changes colour depending on the sequences. This enrichment of colour gives joy, and creates an optical dynamism that stimulates the viewer's perception, making him see that the beauty, continuity and variation occur within the context of this combinatorial mental faculty. This is what making a painting means for me. Without this enrichment for the viewer, the picture has no value.

At the vernissage on 26th September, the gallery will host a piano recital by Oscar Pizzo, the artist's son, who is a classical pianist of international repute. At 8 p.m. he will offer the Milan public a dialogue between painting and music, performing a programme of minimalist contemporary pieces. At the end of the exhibition there will be the presentation of the volume WORKS, the first publication to establish a dialogue between the art of Lucia Di Luciano and that of her husband, the painter Giovanni Pizzo. The book, edited by Fabio Cherstich and featuring a text by Natalie Du Pasquier, is published by Apartamento in collaboration with 10 A.M. ART and the Archivio Lucia Di Luciano Giovanni Pizzo.

Opening:

20 February 2025, 5.00 pm

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